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Trucchi in Cucina

Ho scoperto perché non devo più usare pentole antiaderenti graffiate: rischiavo la mia salute sino a ieri

Ho scoperto perché usare pentole antiaderenti graffiate può mettere a rischio la salute: le sostanze chimiche del rivestimento, quando danneggiate, rilasciano tossine potenzialmente pericolose. 

Per anni ho dato per scontato che una padella antiaderente con qualche graffio fosse solo un difetto estetico. L’ho capito tardi: quel rivestimento consumato può trasformarsi in un problema per la salute e per la qualità del cibo.

Ho scoperto perché non devo più usare pentole antiaderenti graffiate: rischiavo la mia salute sino a ieri (dieta.it)

Prendendo spunto da quanto segnalano diverse fonti tecniche e note d’agenzia sui rischi delle padelle antiaderenti danneggiate, ho rimesso in discussione abitudini consolidate ai fornelli.

Il cuore della questione è il rivestimento. La maggior parte delle pentole antiaderenti usa il PTFE, noto come Teflon, materiale che in condizioni integre e a temperature moderate è chimicamente inerte. Esistono anche rivestimenti “ceramici” di tipo sol-gel, privi di PTFE e PFAS, ma soggetti ad usura più rapida.

I pericoli nascosti dietro l’uso prolungato di pentole antiaderenti  danneggiate

Quando la superficie si graffia, però, cambia tutto: l’antiaderente perde continuità, si sfalda in microframmenti e lascia scoperto il metallo sottostante, spesso alluminio. Ciò significa due cose: potenziale rilascio di particelle del rivestimento nel cibo e maggiore probabilità di cessione di metalli quando si cucinano cibi acidi o molto salati.

I pericoli nascosti dietro l’uso prolungato di pentole antiaderenti  danneggiate (Dieta.it)

Sulle particelle, la letteratura recente ha acceso i riflettori: test di laboratorio hanno stimato che superfici in PTFE danneggiate possano rilasciare micro- e nanoframmenti durante l’uso, soprattutto se si raschia la padella con utensili metallici. Il PTFE ingerito è considerato per lo più inerte e tende a passare attraverso l’organismo senza essere assorbito; tuttavia, l’esposizione cumulativa a microplastiche è un tema su cui la ricerca procede e il principio di precauzione suggerisce di limitare fonti evitabili, come appunto un rivestimento che si sfoglia nei piatti.

C’è poi la questione del surriscaldamento. Il PTFE inizia a degradarsi e a rilasciare fumi irritanti se portato ben oltre la cottura domestica moderata, tipicamente oltre 260-300 °C. Una padella lasciata vuota sul fornello ad alta fiamma può raggiungere rapidamente queste temperature.

In ambiente domestico, i fumi possono causare un malessere transitorio noto come “polimer fume fever” in soggetti esposti a vapori ricchi di particelle ultrafini; gli uccelli da compagnia sono particolarmente sensibili.

Le superfici graffiate, con minore massa di rivestimento e punti esposti, tendono a scaldarsi in modo irregolare e possono degradare più in fretta, aumentando il rischio di decomposizione termica localizzata.

Un altro capitolo è l’eredità dei PFAS. L’industria ha abbandonato da anni l’uso del PFOA nella produzione del PTFE, anche grazie a restrizioni in UE e USA; le padelle moderne sono dichiarate “PFOA-free”.

Ciò non significa che ogni antiaderente sia privo di fluorurati: in alcuni processi si impiegano comunque sostanze della stessa famiglia. Se il rivestimento resta integro e si cucina a calore moderato, l’esposizione è considerata molto bassa; ma quando la superficie è abrasa, la velocità di usura e rilascio di frammenti aumenta, e con essa la plausibilità di un contatto alimentare con residui indesiderati.

Perché le pentole antiaderenti graffiate sono un rischio per la salute (Dieta.it)

Non va trascurata l’igiene. I graffi creano microfessure dove grassi ossidati e residui si annidano, ostacolando una pulizia completa e favorendo cattivi odori e sapori. Il cibo tende ad attaccarsi proprio nei solchi, costringendo a strofinare con più forza e aggravando l’erosione del rivestimento: un circolo vizioso che accorcia la vita dell’utensile.

Molti si chiedono se l’alluminio esposto sia un rischio. Le leghe per alimenti sono soggette a limiti di migrazione e, in condizioni normali, la cessione è bassa; ma con rivestimento compromesso, preparazioni molto acide (pomodoro, agrumi, vino) o salate possono aumentare la migrazione. In caso di sensibilità specifiche ai metalli o per uso quotidiano ripetuto, è meglio non arrivare a quel punto e sostituire la padella.

Prevenire è possibile. Gli utensili metallici sono nemici dell’antiaderente: meglio legno, silicone o nylon. Evitare spray antiaderenti a base di oli nebulizzati che carbonizzano e rovinano il film. Non pre-riscaldare a vuoto; mantenere il fuoco medio-basso; ventilare la cucina. Il lavaggio a mano, con spugne non abrasive, allunga la vita del rivestimento; la lavastoviglie, con detergenti aggressivi e getti caldi, accelera l’usura. E quando compaiono righe profonde, scaglie o aree lucide dove si intravede il metallo, è ora di cambiare.

Le alternative non mancano: l’acciaio inox richiede tecnica ma è robusto e privo di rivestimenti; la ghisa, ben “condizionata”, offre antiaderenza naturale e ottima ritenzione di calore; la ghisa smaltata e l’alluminio anodizzato duro sono versatili e resistenti; i rivestimenti ceramici sono PFAS-free ma vanno trattati con cura perché si consumano più in fretta. Qualunque sia la scelta, cercare utensili conformi alle norme sui materiali a contatto con alimenti e acquistare da produttori che dichiarano chiaramente composizione e limiti d’uso.

Se l’antiaderente è rigato, sfogliato o scolorito, sostituire la padella. Usare utensili in legno o silicone e fuoco medio; mai padella vuota sul fornello. Evitare cotture aggressive e cibi molto acidi su superfici danneggiate. Arieggiare durante la cottura; gli uccelli non dovrebbero stare in cucina. Per nuove padelle, preferire prodotti senza PFAS dichiarati e con istruzioni d’uso chiare. Smaltire le padelle usurate secondo le indicazioni del proprio comune; spesso non vanno nel riciclo domestico dei metalli.

Loriana Lionetti

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