I bastoncini a righe che pendono dai rami hanno un potere semplice: chiamano subito il Natale
Li vedi e senti già resina, lucine, carte fruscianti. Non sono solo dolci. Sono segnali. E ogni anno rientrano in scena come attori consumati. Li chiamiamo candy canes, bastoncini di zucchero, o più sbrigativamente “quelli a righe”. Hanno una forma umile, una curva gentile, un gusto che non sbaglia. Eppure la loro storia non è lineare come sembra.

Prima, una certezza visiva. Le strisce rosse e bianche non sono un capriccio grafico. Aiutano a riconoscerli a distanza. Stanno bene sull’albero e in foto. Nel palato, la menta piperita pulisce, rinfresca, chiude il pasto. È un gesto quasi rituale: staccarne uno, tirare la pellicola, sentire il primo schiocco.
Ma da dove arriva questo piccolo totem? La tradizione più citata parla di Colonia. Nel 1670, si dice, il maestro di cappella del duomo piegò bastoncini di zucchero bianchi a forma di pastorale, per tenere buoni i bambini durante la messa. Fonti museali come lo Smithsonian ricordano il racconto, ma avvertono: non esistono documenti coevi che lo confermino in modo definitivo. È una buona storia, non una prova.
L’evoluzione dei candy canes negli Stati Uniti
Quello che possiamo documentare è un altro passaggio cruciale. A fine Ottocento compaiono negli Stati Uniti riferimenti a “candy canes”, ma spesso senza righe, solo bianchi. Le strisce diventano standard tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Le prime foto a colori e i cataloghi li mostrano così solo nel nuovo secolo. La simbologia religiosa “J come Jesus” o “rosso come il sangue” è moderna e non attestata da storici dell’alimentazione; le associazioni di categoria la considerano leggenda.

La svolta vera arriva oltreoceano. Dopo la Prima guerra mondiale, l’industria dolciaria americana trova la forma che conosciamo. In Georgia, nel 1919, Bob McCormack avvia quella che diventerà Bob’s Candies. Li produce a mano, li piega uno a uno. C’è un problema concreto: si rompono spesso. Negli anni ’50, il cognato, il sacerdote Gregory Keller, progetta una macchina per curvare i bastoncini in serie. È il tassello produttivo che mancava. Con l’automazione, il costo scende, la forma si standardizza, la distribuzione esplode. Anche Spangler, storica azienda dell’Ohio, entra in scena con volumi importanti. Qui il dopoguerra fa il resto: più supermercati, più packaging, più Natale nelle case.
Il significato culturale e commerciale dei candy canes
Nel frattempo si fissa il profilo sensoriale. La menta vince su altri aromi. La combinazione rosso-bianco diventa identità visiva. Le associazioni di settore americane, come la National Confectioners Association, parlano di decine di milioni di pezzi venduti ogni stagione. E il bastoncino diventa anche ornamento stabile: nasce per essere mangiato, ma vive volentieri in vetrina.
C’è ancora spazio per il dubbio, ed è sano dirlo. Non abbiamo prove inoppugnabili sull’origine esatta della curva nel Seicento. Abbiamo però tracciati affidabili su produzione, macchine, marketing. E bastano per capire il quadro: l’Europa accende la scintilla, gli Stati Uniti fissano lo standard nel dopoguerra.
Resta una cosa che i dati non misurano. L’attesa. Quel gesto di scegliere il posto giusto sul ramo, di inclinare la “J”, di lasciarsi cadere un’idea di festa sulla lingua. A fine serata, quando la casa tace, quanti bastoncini restano sull’albero, e quanti racconti sono già passati da lì?





